(a sud dei rosmarini)
sole silenzioso
centomila anni stanchi nel cuore di farina
gong d’oltre terra tanto vicina al cielo
che spacca la zolla in tre e poi in cinque
senza riguardo sole silenzioso senza pelle
col seme caduto sull’irrisolta fecondità
di una poesia che certo non sa d’amare
parla sorda scure imprevedibile
della poetessa di Foligno colpisci pure
le parole conservate dalle ambre
a sud dei rosmarini, dove il silenzio
chiacchera col nulla dell’ombra di una mano
che appena sfiora il fucsia d’un passato
proprio accanto alle radici
senza pioggia non può esserci colore
in una sera così lontana da quest’istante fermo
tra le dita e la carezza immobile a mezz’anima
nell’aria ridotta ad unico respiro
ah ridicola speranza del principio
che vuole il cuore prima della mente
senza passare attraverso le betulle
*
le calme d’agosto
come facevo a capire dove fosse la luna, quale la finestra
lungo l’elusiva rappresentazione delle calme d’agosto
quando si raccolgono per difetto le intensità circolari
fra la bocca il seno e la distanza
e se mi abbandonassi
scivolando col sudore delle mani nelle polveriere delle vene
al fluire congiunto sovrapposto all’illusione che di noi fa solo
un fiume non descritto
mancherebbe certamente la misura che ci lascia distinguibili
tracce di corpi senza petali un’alfa senza seguito
di limiti presunti e mai sistemi per quanto estemporanei
sull’obliquo ascendere dei sensi
ma un movimento impercettibile di labbra riporta i picchi
e le cadute spazzando
il fermoimmagine -vedi il desiderio- dalle inferriate
*
Novantadue parole
stasera gli ulivi non riflettono l’argento
voglio pensare che non ci sia luna
che giù nel cortile il passo è corto per davvero
e tu non canti questa sera
–
guarda le pieghe di quest’aria
sembra muoversi da sola senza voce
dall’intonaco alla gonna stilla del mio tempo
–
è bello ascoltare il respiro stringersi alle dita
con te che gli ulivi vorrebbero al posto della luna
–
canta allora quelle antiche litanie
che sanno di zolfo e nocepesca
(è tutto dentro gli occhi ramemare)
–
io sono qui sto raccogliendo il miele
in novantadue parole
***
Brevi considerazioni:
la vera poesia quando viene al mondo non conosce direzione precisa. Lo sa bene Sebastiano che ama le parole così come le parole amano lui. In un periodo storico così delicato che ci vuole cervelli in fuga o lavoratori a tentoni, scrivere denota non solo grande coraggio ma anzitutto immaginazione cronica. La costante ricerca del dire con pathos sembra alla base della poesia del Patanè che tanto si diletta a curare la scenografia dei suoi discorsi con atmosfere assai fascinose che si traducono in versi fluidi e all’apparenza spontanei. Come il silenzio che inaugura la scena di A sud dei rosmarini, pare quasi vederli quei centomila anni stanchi trascinarsi col bastone, inciampare in barbe lunghissime, come se a dare un tempo fosse meno impossibile la fatica che vuole farina a frantumare il cuore. Nella lettura incessante di questo testo mi sono lasciata innamorare da un passaggio in particolare:
della poetessa di Foligno colpisci pure
le parole conservate dalle ambre
a sud dei rosmarini
in quanto la poetessa in questione poteva essere di Ostuni, tanto di Merano o di Siena; è che poi la bellezza degli incroci sta soprattutto nell’osmosi, in una voce che incontra un’altra e si fonde magicamente. La poesia è magia: sì, lo credo fortemente. I confini diventano inconsistenti ed io e il tu, non sono che città disabitate, ere rivitalizzate, modelli persi, musica, amore ed anche un po’ morte. Fino alla chiusa decisamente magistrale:
ah ridicola speranza del principio
che vuole il cuore prima della mente
senza passare attraverso le betulle
quanta intimità si respira fra i versi, eppure la forma così come il contenuto non ricorda risultati diaristici, anzi, l’autore con la sua bravura riesce a cucire indumenti caldi e accoglienti con taglie piuttosto modellabili. I sussurri avvicinano il lettore, suonano le note del fado fino a quelle più profondamente siciliane, così uno spirito che non si può spiegare ma percepire con tocchi impercettibili arriva a cantare la sofferenza, l’inesorabile distacco, la partenza, la tristezza del destino inteso come qualcosa che ci domina e da cui non possiamo fuggire: il giogo dell’anima, la supremazia del cuore sull’intelletto, circostanze che ci conducono alla disperazione.
Ma il fado è non solo amore ma anche gelosia, peccato, desiderio incontrollabile, abbandono dei sensi, farsi prendere dalla smania di provare l’intensità del lascito dei freni, è come un tango. Un ballo improvvisato perché veicolato dal proprio sentire, è probabilmente solo un sogno quello che agita le Calme d’agosto:
e se mi abbandonassi
scivolando col sudore delle mani nelle polveriere delle vene
al fluire congiunto sovrapposto all’illusione che di noi fa solo
un fiume non descritto
prospettive che mutano in base alle sensazioni che ci prendono in certe sere, certi notti in cui le frequenze cardiache accelerano avvenimenti inverosimili o forse solo quello che potrebbe essere. Volere, ottenere, fondersi è un continuo crescendo questa marcia di avvicinamento che fa dell’ incontro fatale un’alchimia di affanni, vibrazioni, piaceri, perché l’amore così come lo descrive Neruda: è un combattimento di lampi/e due corpi da un solo miele; ma anche vertigine che amplifica ogni impressione, ogni immagine, ogni contatto proveniente dalla persona amata fino a far vacillare ogni altra realtà intorno a noi.
Per Wordsworth la fantasia è il tocco di colore che il poeta associa nel processo creativo all’emozione. La poesia é l’istintivo fluire di sentimenti potenti che però non vanno colti estemporaneamente nella loro esplicita veemenza, ma vengono riciclati nella flemma del proprio guscio domestico quando l’emozione cede il posto ad una gioia più calma che è nel genio della lirica. Novantadue parole è puro romanticismo, condito da sapienti pause che nobilitano il pathos: stasera gli ulivi non riflettono l’argento/voglio pensare che non ci sia luna/che giù nel cortile il passo è corto per davvero/e tu non canti questa sera, si intuisce un’imprescindibile connubio fra l’autore e l’ambiente circostante: è bello ascoltare il respiro stringersi alle dita /con te che gli ulivi vorrebbero al posto della luna, e così la poesia diviene scrittura del corpo e della passione e l’impatto emotivo è davvero sorprendente.
Se è vero che il linguaggio del poeta è oggettivamente intransitivo, poiché si autoriflette sulla personalità di chi lo compone e che la realtà interessa il cosmo intrinseco del poeta, il quale trasfigura artisticamente, ricreandolo, il proprio tessuto interiore di sentimenti, idee ed emozioni, è soprattutto la sua incapacità di chiarire razionalmente le cose che lascia al lettore un territorio di mistero, un fondo in grado di agitare ambiguità e tortuosità ma anche irresistibile seduzione.
f.c.
Bio:
Sebastiano A. Patanè Ferro nasce a Catania nel 1953 sotto l’acquario di febbraio. Fin da giovanissimo coltiva la passione delle lettere che comincerà a sviluppare con impegno negli anni ‘80 quando fonda il centro culturale e d’arte “Nuova Arcadia” salotto di poesia e sede di numerosi reading.
Nel Giugno 2013, il suo esordio con la raccolta di poesie “gli angoli (aprono i loro acuti per ingoiarci)” datate 2010, introdotte da Anila Resuli, per conto della Smasher Edizioni di Carmen Giulia Fasolo
Attualmente, sue poesie sono rintracciabili su diversi autorevoli blog tra cui Poetarum Silva, La stanza di Nightingale, Il giardino dei poeti, Larosainpiù, Cartiglio d’ombra e Neobar. Diversi gli articoli su Word Social Forum.
Gestisce due blog di poesia contemporanea: “Le vie poetiche” e “La casa senza tempo”, oltre ai suoi blog personali quali “La cava della parola” e “Sciaranera”
La lettura di queste poesie mi lascia piacevolmente in attesa di rivelazione di ciò che è, potrebbe essere, sarà. Mi lascia ferma ad annusare gli odori, i profumi, a voltare lo sguardo verso angoli nascosti, a intuire la passione dolce e rovente. Un verso di morbida consistenza, sorretto dalle basi granitiche di un sentire affilato e a suo modo romantico che mi affascina. Complimenti al caro amico Sebastiano e a Francesca per l’acuta disamina.
Grazie Federica, sempre gentile nei tuoi passaggi. Un caro saluto
Sebastiano A. Patanè-Ferro Fra, mi hai profondamente commosso. Sei entrata in me poeta e uomo come nessun’altro e questo mi lascia fortemente toccato dalla tua sensibilità di donna poeta potente quale sei. certo ci conosciamo bene attraverso i tanti duetti scritti insieme e tutto il resto della nostra convivenza nei vari forum di poesia, ma qui, mia dolce francesca, hai varcato profondamente il confine e ti sei addentrata nelle mia poesia “intima”, e solo tu eri in grado di farlo con tanta passione. Grazie Fra, te voglio bbene assaje!
Adesso sono a Piacenza, ma appena ritorno risponderò come si deve alla tua disamina.
Ti abbraccio forte
Grazie anche a Federica per le sue belle e, lo so, sincere parole.
e mi commuovi in questo feedback “a caldo”. Sai bene che i tempi di attesa sono stati piuttosto lunghi, in quanto ogni parola, ogni commento mi sembrava abusato, comune e così ho aspettato il diradarsi di quelle antenne che molto spesso hanno unito il nostro sentire, cercando di essere più di parte possibile, cosa piuttosto difficile, visto che letteralmente adoro il tuo scrivere perchè anche un po’ mio… Affetto ricambiato a mille!